venerdì 29 gennaio 2010

Processo breve


A nemmeno 8 anni, seconda elementare, primo tentativo acclarato di falsificazione della firma dei genitori, sul quaderno degli avvisi. Con pentimento immmediato: la firma, scritta con la replay, era cancellata (peccato la traccia sul foglio fosse evidente).

Il tentativo di difesa è stato quasi commovente: Cos'è questa firma cancellata sul tuo quaderno? - Non lo so, ce l'ho trovata... - mi ha risposto voltandosi e tentando la fuga in camera sua, quasi alludendo ad un oscuro complotto orchestrato dai compagni (dei banchi di sinistra) o forse dai bidelli.

Ma dinanzi all'insistenza del genitore inquirente ha subito confessato. Dichiarandosi consapevole della gravità del suo gesto fraudolento.

Ah, funzionasse così la giustizia in questo Paese!


P.S. Credo che il piccolo truffatore abbia preso dallo zio, ma questa è un'altra storia...







giovedì 28 gennaio 2010

Sovversivi


«Mettere al centro la crescita personale, la relazione coniugale, è una rivoluzione culturale. La cosa più rivoluzionaria, più sovversiva che si possa immaginare».


Sul blog motividifamiglia, ho pubblicato questo post.




(Foto da Flickr/creativecommons/Photos8.com)




martedì 26 gennaio 2010

Ciò che sta iniziando


La nostra civiltà è «intelligente nelle cose secondarie, e stupida in ciò che è essenziale».

E' una citazione dalla lectio magistralis della poetessa russa Ol'ga Sedakova, tenuta all'Università Cattolica di Milano e pubblicata sul sito della rivista Tracce (la rivista internazionale di Comunione e Liberazione).

La lezione è un'apologia della ragione, cioè la difesa della ragione per prima cosa dalla sua riduzione a «razionalità tecnica», quindi dal suo rovescio, il «trionfo dell'irrazionale». La poetessa rifiuta la contrapposizione tra ragione e cuore, ragione e sentimento, in favore di una ragione che «conosce la realtà nella sua interezza prima di distinguerne i fattori», che «conosce le cose entrando in contatto con esse, e non estraniandosene», che «si stupisce incessantemente delle cose grandi e si prende cura delle piccole». Perchè il centro di questa ragione è la sapienza, cioè «lo spirito amante degli uomini».

Il finale si interroga sulla «fine della storia» paventata da molti di fronte al «vicolo cieco» nel quale sembriamo esserci cacciati. Ma l'autrice risponde - per me - da vera poetessa:

«Le persone intelligenti e adulte sanno che il mondo è già finito tante volte. E' tempo di pensare a ciò che sta iniziando».




giovedì 21 gennaio 2010

Graziati in punto di morte


E' sconcertante la bellezza di questo dialogo tratto dal film di Ingmar Bergman “Come in uno specchio” (1960).

Cito dal post sul blog La poesia e lo spirito: Spendiamo tante parole inutili per definire Dio, o per definire la sua assenza. Forse, tra le meno inutili che siano state spese, ci sono queste, meravigliose, scritte da Ingmar Bergman

Il grande regista svedese rappresenta le vicende di uno scrittore, un padre, che ha sbagliato tutto nella sua vita, e che trascorre le vacanze estive su un'isola in compagnia del figlio Minus e della figlia Kårin, recentemente dimessa da una clinica psichiatrica. Ognuno di loro costituisce per gli altri una sorta di specchio, nel quale si riflettono le angosce e la difficoltà di comunicare di ciascuno.

Il filmato inizia e finisce con due frase semplici ma fondamentali: Papà, ho paura! - dice il figlio Minus entrando nella stanza. E alla fine: Papà ha parlato con me...

In mezzo, un altissimo dialogo su Dio e sull'Amore:

- Dio? Dammi una prova di Dio. Non puoi - Sì che posso - risponde il padre - Dio è la certezza che l’amore esiste come cosa concreta in questo mondo di uomini… Ogni genere di amore, il più elevato e il più infimo, il più oscuro e il più splendido. Ogni specie d’amore… Non so se l’amore dimostri l’esistenza di Dio oppure se l’amore sia Dio stesso… Questo pensiero è il solo conforto alla mia miseria e alla mia disperazione. Di colpo la miseria è diventata ricchezza e la disperazione speranza. E’ come essere graziati in punto di morte.

Il figlio, Minus, dimostra di aver capito, e risponde guardando la sorella pazza: Allora Karin è tutta circondata da Dio, perché noi l’amiamo davvero...







mercoledì 20 gennaio 2010

Pollice verde


Anche i fiori si devono "rilassare".

Concordo con il mio piccolo omonimo








(Foto da flickr/creativecommons/100777)



venerdì 15 gennaio 2010

Mi stupisco di essere lieto


«Vengo non so da dove; sono non so chi; muoio non so quando; vado non so dove; mi stupisco di essere lieto».

Meraviglioso detto medievale che traggo dall'articolo Vito Mancuso su Repubblica, lo scorso lunedì. Il teologo lo usa per dire cose che non condivido, o che condivido solo in parte.

Anche per me è l'espressione di una "coscienza felice", ma pienamente cristiana, che non rimuove il mondo, ma sa attraversarlo e lasciarlo andare, in un presente in cui il Nulla apre la porta al Tutto.

E' una coscienza mistica e poetica, che mi richiama alla mente le incredibili parole di San Giovanni della Croce e la sua dottrina del Nada Y Todo:

«Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente. Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente. Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente. Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente. Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi. Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai. Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai. Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei»


(La foto è di un mio bravissimo amico, Alessandro Pinna, dal suo album su Flickr)



giovedì 14 gennaio 2010

Rimanò


La lingua, per i bambini, è un mare musicale in cui tuffarsi con ingenua e spavalda incoscienza.

Per Elisa, che ama intrattenermi con lunghi racconti sui fatti del giorno, il passato remoto del verbo cadere è - meravigliosamente - cadò, di rimanere è rimanò.

Davvero mi dispiace correggerla, perchè ho l'impressione che abbia ragione lei.

giovedì 7 gennaio 2010

Happy but poor


Camminando per strada a Piazza Bologna mi imbatto in una originale "barbona". Appoggiato sulle spalle aveva un grande cartello con su scritto, in italiano e in inglese: "FELICE MA POVERA - HAPPY BUT POOR".

E' una donna di colore, piuttosto robusta, ricorda quelle cantanti gospel afroamericane possenti nella voce e nel fisico, anche perché balla, mentre la gente le passa accanto sul marciapiedi, e canta parole per me incomprensibili, forse senza senso.

Mi ricorda uno dei personaggi folli e misteriosi dei racconti di Flannery O'Connor, la signora Greenleaf (dal racconto omonimo), che in mezzo ai campi gridava e gemeva, carponi sulle ginocchia: Gesù! Gesù!, col viso impastato di lacrime e terra.

Vedendola - scrive la O'Connor - la signora May ( che rappresenta il buon senso dei sani, il conformismo razionale e anche religioso) aveva trasalito.

Secondo lei la parola Gesù non doveva uscire di chiesa proprio come certe altre parole non dovevano uscire dalla camera da letto. Era una buona cristiana e aveva grande rispetto per la religione, quantunque, naturalmente, pensasse che non ci fosse niente di vero.


Felice, quantunque povera.


(Foto da Flick, creative commons, howieluvzus)