lunedì 1 luglio 2024

L'abisso con gli occhi degli altri

Io guardo l'abisso con gli occhi degli altri. 

L'arte di legare le persone, di Paolo Milone (Einaudi) è un libro sulla follia scritto da un neuropsichiatra e ambientato in reparto di psichiatria (Avendo fuggito ogni altro lavoro per paura, mi ritrovo a fare il lavoro che fa più paura a tutti).

Un libro estremo, eppure poetico nella sua capacità di guardare in faccia il dolore senza farsi annientare, restituendoci uno sguardo più vero e una parola più umana. 

Se non hai mai provato il dolore psichiatrico, non dire che non esiste. Ringrazia il Signore e taci.

La realtà descritta nel libro è dura, concretissima e drammatica, senza sconti (ad esempio le pagine sulla contenzione fisica), ma quello di Milone non è un saggio né un libro di denuncia: è "un'opera letteraria sulla salute mentale - commenta lo scrittore Nicola Lagioia - tra le più belle, inusuali e poetiche degli ultimi anni. Un libro unico". Letteraria è la sua struttura - che ricorda un diario ma senza vincoli cronologici - e la sua scrittura, sempre aderente alla realtà ma sempre aperta a possibili suggestioni, combinazioni, immagini e significati ulteriori.

Quando procediamo per entrare in Reparto 77, noi siamo come i pescatori che vanno al mare; prima di imbarcarci e prendere il largo, chiediamo le previsioni metereologiche. Calma piatta, mare mosso, molto mosso, agitato. Burrasca in arrivo. Sull'uscio ci fermiamo e ci mettiamo la cerata nel vento.

(...)

Il bene e il male che facciamo a un'altra persona si riverbera e si propaga in mille modi / tra i suoi parenti amici e conoscenti / e, nel tempo, si trasmette a tutti i discendenti. / Sarà qualcosa di infinitesimo, un movimento atomico, / un'ombra, un fremito, ma esiste ma esiste e si diffonde nell'universo. / Vedi, Giulia, noi contribuiamo a migliorare o peggiorare l'universo / e, su questo, abbiamo una responsabilità.

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Luciano, per essere più forte del dolore, / più forte della paura, / più forte del rancore, / ti sei fatto vento.

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Ma se non lo sanno i suicidi falliti perché hanno tentato di uccidersi, / come possiamo capirlo noi.

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Le chiavi servono a chiudere la follia in Reparto 77 quando si torna a casa

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Filippo, tu che ce l'hai fatta a passare, / e ora sei tutto graffi, sporco, sudore, dimmi com'è di là. Di là dove non c'è ragione. / Io curo grandi mappe della frontiera. / Per quali sentieri nascosti, per quali valichi, gole, precipizi, sei riuscito a passare? / Dimmi com'è di là.

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I depressi usano l'indicativo passato: / io ho sbagliato, io non sono riuscito... / oppure il presente, ma con un profondo legame con il passato: io sono colpevole, io sono fallito. / Gli euforici usano l'imperativo: vieni, fai, compra / e usano il futuro: festeggeremo, conquisteremo, ci vedremo. / Gli schizofrenici sbagliano tutto: dicono io sono invece di io ero, io sarò, io sarei, io fossi. / I caratteriali, sempre all'imperativo: scrivi, dammi, ascoltami, ubbidisci. / I nevrotici sono persone deliziose che usano il condizionale: potrei, sarebbe così gentile... / o il congiuntivo: se fosse possibile, se fossi sicuro di non disturbarla... / Giulia, stai attenta alle persone al congiuntivo trapassato: se io fossi stato, se io avessi avuto. Sono le peggiori.

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Chi è triste esce poco di casa, e spende meno di chi è allegro. / L'ideale per la società dei consumi è tutti allegri e nessuno triste. / La tristezza è uno stato mentale eversivo.

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La società dei consumi non ha nulla da dire sulla morte / per il semplice fatto che i morti non consumano.

(...)

Poetico è il mal d'amore, il rimpianto, il lutto, / poetico è il dolore tragico che trova ragione, vendetta, riscatto, / impoetico è questo dolore, monotono, lento, insaziabile, sequestratore. / Poetica è la nostalgia, impoetica la depressione. / Poetica è la fantasia, impoetico il deliro. / Poetico è il timore, impoetica l'ansia. / Poetico il desiderio, impoetica la dipendenza. / La poesia non frequenta la Psichiatria, si ferma sulla soglia. / Dove non entra la vanga della poesia, zolle dure, secche, infertili e fredde. / Noi ci occupiamo del dolore impoetico.