venerdì 19 ottobre 2012

Nostro figlio


Nei giorni scorsi a Marianella, un quartiere di Napoli al confine con Scampia, è stato ucciso "Lino", Pasquale Romano, un ragazzo di 30 anni. Era sotto casa della sua fidanzata e stava andando a giocare a calcetto con gli amici. La Camorra lo ha scambiato per un altro e lo ha ammazzato - "per sbaglio" - crivellandolo con 14 proiettili.

Nelle ore e nei giorni terribili di dolore, i suoi genitori, Giuseppe e Rita, hanno scritto una lettera straziante indirizzata al ministro dell'Interno, pubblicata oggi dai giornali e rilanciata da molti sulla Rete. Voglio dare anch'io il mio contributo perché il testo è di una forza, una dignità, una bellezza inaudite, e merita di essere diffuso e ricordato.

Signor ministro dell’Interno, chi le scrive non ha più un futuro. Siamo i genitori di Pasquale Romano, ucciso lunedì scorso mentre con i suoi trent’anni, che tali rimarranno per sempre nella nostra memoria, con i suoi progetti per il futuro, con la sua voglia di vivere, usciva da casa della sua fidanzata, per andare a giocare a calcetto.

Nostro figlio era una persona normale, per noi genitori sicuramente speciale. Aveva un lavoro. Aveva progetti. Voleva avere una famiglia tutta sua, da costruire con le sue forze. E, invece, la sua vita gli è stata strappata sulla pubblica via. Al confine con Scampia, in un quartiere che non appartiene più alla comunità del nostro Stato, ma che è irrimediabilmente perduto. Consegnato a chi avvelena migliaia di giovani, uccidendoli giorno dopo giorno, lasciato in mano a chi, di fatto, ha in mano la vita di noi tutti, decidendo se dobbiamo vivere o morire. Hanno ucciso nostro figlio. Da quella sera nel nostro cammino non c’è più un orizzonte, e se ci voltiamo indietro non vediamo più l’orma dei nostri passi.


Signor Ministro, le chiediamo perché. Le chiediamo com’è possibile perdere così la vita in questo modo. Le chiediamo perché, in questo posto maledetto, si continua a uccidere e a uccidere ancora innocenti, che muoiono perché escono di casa, vanno a prendere i figli a scuola, tornano dalla spesa o si affacciano da un balcone. Che senso ha morire così? Che senso ha morire a trent’anni? Che senso può avere la nostra disperazione di genitori a cui è stato strappato dal cuore un figlio, solo perché si ostinano a dire che era «nel posto sbagliato al momento sbagliato»? Nostro figlio, invece, era al posto giusto al momento giusto.

Ella può ancora garantire alle persone di avere il diritto a vivere e di muoversi per strada senza guardarsi intorno e senza preoccuparsi delle ombre? Non le pesa tutto questo? Ella è a conoscenza del fatto che sono già più di seicento le persone uccise per «sbaglio» (un termine orribile) dalla criminalità? Questa crudele lista dovrà continuare ancora? Abbiamo perso un figlio. E non ci sono parole per definire il senso del dolore che proviamo da poche ore ma che ci sembra davvero antico. Le chiediamo giustizia. E una sicurezza che qui non esiste ancora, e che forse non è mai esistita. Le chiediamo ancora di provvedere affinché tutto questo non abbia a ripetersi mai più. Signor Ministro, non esiste nella nostra lingua, e nemmeno nelle altre, alcun termine per definire chi perde un figlio. Una condizione che non è stata mai immaginata, ma che a Scampia è invece all’ordine del giorno”.

Anche Rosanna, la fidanzata di Lino, ha parlato. E anche lei ha detto parole incredibili, riportate da Massimo Gramellini su La Stampa: «Non bisogna avere paura dei camorristi. Sono loro che devono avere paura di noi. Noi dobbiamo continuare a uscire per la strada a testa alta. Sono loro che si devono nascondere. Noi siamo di più».

Noi siamo di più. Figli, madri e padri. Fratelli, amici, fidanzati. Sposi futuri, presenti o passati. Persone normali eppure per qualcuno sicuramente speciali. Al posto giusto al momento giusto. Malgrado tutto. A testa alta.

Una preghiera e un grazie per Lino, Rosanna, Giuseppe e Rita.


martedì 2 ottobre 2012

A che serve studiare la storia?


"Ma dico io, a che serve studiare la storia? Che ci importa del passato? A noi ci interessa il futuro, semmai!"

Così mia figlia la scorsa domenica a tavola, spalleggiata dalla cugina, entrambe felicemente spavalde, divertite e irriverenti.

"La storia è la montagna da scalare per riuscire a guardare lontano verso il vostro futuro".

Avrei voluto rispondere così, ma non mi sono venute le parole.

Ho evitato, però, e ne sono contento, il discorso moraleggiante sul dovere di studiare, e l' historia magistra vitae, e "mamma mia in che tempi viviamo", e "questi giovani di oggi dove andranno a finire"....

Avranno modo e tempo per scalare la montagna.