"Esiste uno stile cristiano di presenza anche nel mondo digitale: esso si concretizza in una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro" (Benedetto XVI)
lunedì 8 agosto 2011
Una scorciatoia dal nulla al nulla
“Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato”.
Bella e angosciante la frase con cui termina “Il grande Gatsby”, il celeberrimo romanzo di Francis Scott Fitzgerald del 1925, lucida e spietata analisi del sogno americano tra le due guerre mondiali (Tre versioni cinematografiche: l'ultima nel 1974, con Robert Redford e Mia Farrow; la quarta dovrebbe uscire il prossimo anno, con Leonardo Di Caprio nel ruolo del protagonista).
Nell’illusione di vivere e di rincorrere il futuro, si rimane in realtà prigionieri del passato: “Il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter fuggire più. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle”.
Non avevo mai letto nulla di Fitzgerald, e mi sono imbattuto per caso in questo breve romanzo sotto l’ombrellone estivo. The great Gatsby, spiega Alessandro Piperno nell’introduzione all’edizione pubblicata per “La biblioteca di Repubblica”, è soprattutto un romanzo sui ricchi, quelli che lo diventano e quelli che lo sono da sempre.
'Nascere ricchi. É tutto lì il segreto. É la sola cosa che un self-made man non potrà mai comprare. La sola onta genealogica che non potrá mai ripulire, se non a costo di una patetica menzogna'. Jay Gatsby, protagonista del romanzo, sulla menzogna ha costruito la sua vita, misteriosa, tragica ma in ultima analisi banale, deludente: “una scorciatoia dal nulla al nulla”.
La realtà raccontata da Fitzgerald appare divisa in due: “l’universo dello sfarzo” – abitato dai ricchi - e la “valle delle ceneri” abitata dagli “uomini grigio-cenere”.
I ricchi sono “gente sbadata”: “Sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia sbadataggine o in ció che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettesse a posto il pasticcio che avevano fatto...”
Con una concezione aristocratica della vita (“Il senso della dignità fondamentale é distribuito con parzialitá alla nascita”); un “educato disgusto per le cose concrete” e un malcelato disprezzo per gli uomini-grigi: “É cosi stupido che quasi non sa di essere al mondo”.
Un mondo, quello dei ricchi, in fondo caratterizzato soprattutto dalla vacuità e dalla noia: “Che cosa facciamo dopo pranzo? E che cosa facciamo domani? E nei prossimi trent'anni?”